Container di colori. Escrementi di pigmenti oleosi
appallottolati in concentrato d’essenza. Esistenza. Continuità nel gesto
fino al limite esterno di un foglio formato UNI previsto dal codice di taglio
per un proficuo impiego di carta. In un tempo di espansione oltre le misure di
gestualità possibile che richiede elevati affitti di studi-ex fabbrica chiusa
per recessione. E lo sponsor dov’è. Ragionieri in banca e Mister Hyde di notte,
per autofinanziamento del proprio doppio celato. C’è lato. UNI. Foglio standard
che accoglie pigmenti riciclati di un ieri a colori che torna a puntate, a
tracciare il seguito di un gesto introverso e pensato. Riflesso. Di un altrove
vitale evitato. Celato. Pensiero trasparente di pellicola per alimenti che
conservi intatta la fragranza di una tenue vibrazione di animo perso. Un tanto
al metro. E me lo faccia di quel bel rosso vivo che risparmio la legna. E ci sto davanti in poltrona per quei
cinque minuti di relax senza camino. E’ triste fissare il termosifone. Pratico,
caldo ma gelido. Gelo solo a pensare i prezzi di cornici e telai. Mi basta un
foglio di appunti per oggi. Domani è diverso. Se torna. Quando torna il domani
non è lui. E l’oggi mi sfugge e si squaglia in un gesto. Che scioglie il colore
sul foglio con la sola energia del tracciare. La traccia di un moto distratto?
La traccia di un colpo inferto. Automatico. nervoso. calibrato. deciso.
strabordante. Qualsiasi aggettivo, e altri ancora, e anche. sbagliato. Forse il
più bello. Un segno sbagliato acuisce di nuova attenzione l’azione. E cancelli.
Chiusi. Davanti a luoghi fuori orario in cui potresti vedere quei quadri che
costano code di massa per sparpagliare cultura e rimpinzare casse senza
risonanza magnetica. Cerco neurotrasmettitori attivi.
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