La cosa che fa sempre strano è che lo scrivere a monitor sembra di colpo richiedere una versione più pomposa ed ufficiale dei miei pensieri, che, in realtà, nemmeno esistono.
Le parole si chiamano a vicenda, senza che ci sia un ordine di uscita fissato in precedenza. Non potrei mai dettare a qualcuno che attenda la spremuta delle mie meningi, con le dita leggermente sollevate sulla tastiera, come atleti al via. Tutto è spento nei miei uffici interni. Nulla da dichiarare, che io sappia. Solo una necessità di impossibile riordino e un desiderio di iniziare da qualche parte. Prima o poi è da fare.
Inizio oggi, dopo gli ultimi disegni tracciati sui fogli gialli dell'offerta da supermercato, perché ciò che ne esce mi rimanda ad un'immagine che ricorreva nel mio fare già negli anni '80, e non saprò mai se riemerge perché di recente ho rivisto il quadro iconico di quel periodo, o semplicemente perché quello sbreccio è ciò intorno a cui stavo già ronzando, dopo aver continuato a tracciare la mia linea a matita che non sa procedere spedita a causa dell'assenza di comandi sulla direzione da intraprendere. Una linea che procede a tentoni, inciampando, rigirando su se stessa, cercando un senso al suo farsi, un'immagine mentale da inseguire, un motivo della sua collocazione spaziale ed esistenza nel qui ed ora. Nulla si accende, e quindi lei si affida alla casualità nervosa del gesto trattenuto, che registra lievi sbandi e digressioni, affastellamenti, scarti improvvisi, leggere flessioni dal rettilineo immaginato. La linea non è più una decisa scissione dello spazio in due, un confine netto tra due zone senza una precisa motivazione ed identità. La linea non divide in due il foglio, dando una connotazione ai due spazi che si vengono a creare. La linea si fa unica protagonista, casualmente poggiando nel suo incedere su uno o l'altro supporto scelto. Ѐ lei la narrazione stessa. Il dire coincide con il fare. Un punto che scorre e descrive il suo percorso, non per delineare una forma, ma per farsi forma grazie al suo stesso viaggio senza scopo e senza direzione. La trova nel farsi, nell'agirsi in linea, se dopo se, sé dopo sé. Io punto + Io punto+ Io punto all'infinito, o quasi: fino al precipizio del bordo. E su di esso si attarda, accumulandosi su se stesso, per non porre fine al suo spostarsi senza procedere. Potrebbe tornare sui suoi passi, ma verrebbe a scriversi una forma, essendo impossibile ripercorrere esattamente gli stessi spostamenti. Quindi, a punto arreso, sul foglio appare una linea corposa, impossibile da estendere nella sua essenza di linea. Una linea ingrassata dai dubbi di un punto instabile della sua essenza. Accumuli adiposi di grafite si addensano e si assottigliano senza mai cessare di procedere in una media d'intenti sul percorso vettoriale da intraprendere. Il punto strattonato procede per accelerati scarti di direzione, quasi per successive esclusioni del dove non dirigersi. Si muove per prossimità, come ogni parola scelta da AI per dipanarsi in discorso. Lo spostamento del punto procede scegliendo lo spazio più prossemico a se stesso dopo aver scartato tutto ciò che ne diluirebbe troppo l'accezione e la natura di PUNTO INSTABILE. Non è una virgola, non è un punto fermo. Ѐ la capocchia penetrante di una freccia vettoriale vista dall'alto, senza la visibilità della sua direzione, in balia dell'attrito tra superficie e stimolo nervoso al procedere. srotolando grafite. raffo - 2025