venerdì 26 dicembre 2008

due passi in Biennale - 2005

Passi nel fresco, in una Biennale che apre all’insegna dell’ascolto possibile.
LA PERCEZIONE RICHIEDE IMPEGNO”, questa è la grande scritta che campeggia sulla facciata del Padiglione spagnolo, e pare che questo monito-invito a dedicare più tempo alla lettura delle cose sia condiviso anche dalla doppia curatela spagnola, Maria de Coral e Rosa Martinez, in una Biennale di respiro quasi museale, senza picchi emozionali né grandi folgorazioni, ma che ha il pregio di riportare il singolo artista e la sua opera a soggetto dell’evento. In quasi tutti i Padiglioni gli artisti, in numero più contenuto delle precedenti edizioni, sono presenti con più opere, cosa che permette una maggiore comprensione del percorso e della poetica di ciascuno: non solo parole sparse, ma frasi compiute con cui porsi in dialogo costruttivo. Ancora una volta forse troppi video per riuscire a guardarli, in un contesto di poliedriche sollecitazioni quale la Biennale, che ormai coinvolge tutta Venezia, dentro e fuori le sedi istituzionali, e richiederebbe più giornate a disposizione.
Una lunga coda per accedere alla visione del video della Favaretto, un biancoenero di sapore felliniano (video vincitore del Premio giovane arte italiana), diviene esperienza diretta di ciò che poco prima ho trovato proposto in alcune foto di Muntadas, un’ indagine sull’attesa, che in questo caso mi rende più critica quando arrivo alla scatola di proiezione. Lo stesso mi accade al Casinò Francia (Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale) dopo la lunga coda per Annette Messager che, pur tifando per la presenza di donne nei luoghi istituzionali dell’arte, ricordo con maggior forza e minor marchingegno favolistico in altre sue installazioni. Di una donna lo smantellamento di un cubo razionalista per farne paesaggio, con tutto il contorno di ambiguità sul “work in progress” in atto in giorni in cui gli ultimi preparativi per la kermesse non permettono di distinguere imbianchini in ritardo sui tempi di allestimento da operai addetti a mettere in scena l’opera della Bonvicini. La sonorità dei trapani diviene colonna sonora dei miei passi tra un Padiglione e l’altro, nell’interno dei quali a volte altre sonorità isolano in nuove percezioni, come le biglie d’acciaio smosse dai passi in Cecoslovacchia, il pavimento di bottiglie nel Belgio, un marchingegno a sensori in Brasile… L’opera interattiva è il lato parco-giochi, spesso presente in queste manifestazioni, che più fa discutere i puristi, ma da cui trovo piacevole lasciarsi titillare per scardinare la corazza raziocinante e impegnata in favore di Alice e di quel tanto di “inutilmente” alchemico che è uno degli aspetti nutritivi dell’arte. Anche se poi ciò che mi resta a pelle è la gestualità narrante dei sordomuti nel video della danese Eva Koch, o l’applauso-rito indagato da Muntadas, o la forza pittorica sempre coinvolgente dei quadri di Tapies e di Bacon.
Per la prima volta anche l’Arsenale è percorribile senza quel senso di sovraffollamento che ha sempre contraddistinto questo spazio più “sperimentale”, in reltà ora troppo zittito e ben confezionato anche in quei lavori che avrebbero voluto forse far discutere.
Mentre mi allontano mi insegue l’enumerazione dei Paesi non presenti alla Biennale, e i martellamenti di cifre e dati che reggono il grande Evento, per voce di un altro spagnolo, Santiago Sierra. Seguo mentalmente i passi della nudità di denuncia della guatemalteca Regina José Galindo (Leone d’oro Under 35) per le calli veneziane e catturo in una foto una piccola contaminazione: non la tecnologia faraonica della scultura di Plessi, ma la borsina gadget “sacco di cultura” di un polo museale austriaco, che accompagna i passi di tutti i presenti. Altri passi, quelli negli esperimenti di navigazione dell’ungherese Balázs Kicsiny, restano forse l’immagine più forte a simbolo di quanto l’indagine sull’arte, per seguire i binari del mercato, rinunci al coraggio dell’eversione racchiusa in gesti di autenticità artistica non necessariamente urlanti e provocatori. E la scritta dell’americana Barbara Kruger ( Leone d’oro alla carriera), ce lo sottolinea a lettere cubitali dalla facciata del Padiglione (ex) Italia: “Passi alla storia quando fai affari”. r. formenti

Rivista STILE ARTE, luglio, agosto 2005